Articolo di Angelo D’Ignazio, della rubrica Amici di Cambiodicampo
questo articolo è un elaborato del corso gioco e rigioco
Ho compiuto il corso “Gioco e Rigioco” degli amici di Cambio di Campo e non posso che essermi trovato in accordo su tutti i punti trattati e sull’idea di voler “cambiare” il mondo del calcio e l’idea di tutte le nostre proposte da allenatori, sulla base di concezioni pedagogiche e scoperte neuroscientifiche.
Affrontando concetti quali complessità, cognitività e neuroni specchio, atto motorio specifico e non isolato, competenza inconscia, mi viene quasi spontaneo mettere in dubbio alcune metodologie inerenti alla crescita e allenamento dei portieri di calcio, il mio ambito lavorativo.
Inizio considerando la definizione socioculturale con la quale il portiere di calcio viene compreso: cioè come un eroe, capace di volare, l’unico giocatore che può, attraverso le sue abilità, condizionare le sorti di una gara.
Abbiamo considerato nel corso “Gioco e Rigioco” il tema del sistema, di come l’essere umano e l’ambiente siano un sistema di sistemi, composti da interazioni complesse. Partendo da questo concetto notiamo come la definizione “eroica” che si associa a questo ruolo in parte sia infondata.
Il calcio si caratterizza come uno sport di squadra costituito da relazioni complesse (con compagni, avversari, ambiente), dove tutti i calciatori presenti in campo agiscono condividendo, insieme, degli obiettivi comuni.
Quindi da questa premessa, sulla quale fonderemo il pensiero metodologico/operativo, inizieremo a deresponsabilizzare il ruolo, considerando il portiere come uno dei giocatori presenti in campo, con adattamenti e relazioni simili a tutti gli altri componenti del gioco.
Ovvio che, elaborando ciò, il pensiero si orienterà sull’organizzazione dell’allenamento e sui principi del ruolo, comunque anch’essi, imprescindibilmente, inerenti al sistema del gioco calcio.
Siamo quindi così sicuri che il portiere necessiti di un lavoro specifico per il ruolo e per un minutaggio alto?
Abbiamo compreso come il fare, in modo autonomo, creativo ed esperienziale, induca al saper fare, quindi di come l’apprendimento a prove ad errori in un contesto specifico, sia la prerogativa per una formazione ottimale contestualizzata.
Con questo non voglio affermare che il lavoro specifico non sia utile alla crescita del portiere, ma che questo debba rispettare alcuni pilastri, come definito dagli amici di Cambio di Campo (palla, compagni, avversari e direzionalità) e che la parte di gioco eseguita con la squadra, corrisponda quindi alla vera formazione, in quanto rappresenta il momento più concreto negli sviluppi degli adattamenti ai principi del calcio.
Cerchiamo quindi di comprendere come ottimizzare il più possibile la seduta, orientandola verso una formazione esperienziale specifica per il ruolo nel contesto calcio.
La parte specifica dovrebbe prevedere delle proposte che non siano più focalizzate sulla ripetizione dell’esecuzione dei gesti tecnici, per una pulizia dell’atto, ma sull’efficacia, sostenuta dalle valutazioni e scelte che le situazioni comportano.
Ripetere la soluzione o il problema? Questa è la domanda che dovrebbe orientare il nostro operato nelle varie proposte.
Ripetere la soluzione o il problema? Questa è la domanda che dovrebbe orientare il nostro operato nelle varie proposte.
Con la soluzione definiamo la richiesta specifica da parte del mister, nell’esecuzione di un gesto o di una lettura, pilotata in modo deduttivo in una situazione prestabilita ma non veritiera in quanto esente dall’interazione con l’imprevedibilità del gioco.
Preferiamo quindi, creare dei contesti nei quali indurre i nostri portieri ad affrontare i problemi, in modo autonomo, dove attraverso l’agire attiveremo le aree neuronali specifiche, stimolando l’esperienza, attraverso conoscenze e competenze.
Passando al pratico, nella parte specifica, non avendo a disposizione i giocatori di movimento, dovremmo utilizzare i compagni di reparto del gruppo portieri, per sviluppare situazioni in cui vi sia direzionalità, compagni, avversari e palla.
Il lavoro specifico dei portieri ha con sé una grande opportunità, cioè quella di associare alle competenze del gioco quelle psicologico-emotive. Risulta essere una grande occasione in quanto i numeri minori di componenti del gruppo di lavoro e un ambiente propositivo, stimolano una consapevolezza e sperimentazione continua degli stati emotivi e dei sistemi per l’attuazione dell’inconsapevole capacità
Da questo il confronto tra portieri di età diversa stimolerebbe lo strumento del tutoraggio di Vygotskij, che spiega come il contesto influenzi l’educazione del singolo, attraverso l’interazione in feedback e osservativa tra persone. Quindi una relazione continua tra portieri, dove sia tramite l’esecuzione che il dialogo, si stimolano l’apprendimento, la conoscenza di sé stessi, dell’altro e delle componenti prestative.
Il duello come approccio metodologico in questo caso sembra essere il più ottimale, anche per la sua valenza psicologica e pedagogica negli sport.
Il duello permette di entrare in relazione con sé stessi, di comprendere i propri punti di forza e le aree di miglioramento. Stimola l’agonismo, la competitività, la motivazione; ti permette di vincere ma anche di perdere, valutando le dinamiche della sconfitta e dell’errore, percependoli come opportunità di miglioramento e di costante formazione.
Di seguito illustro alcuni esempi:
LAVORO SPECIFICO con il mister dei portieri.
PRIMO ESEMPIO:
partita 3 vs 3
Anche il P in porta può concludere a rete. I cambi dei ruoli possono essere stabiliti o da un minutaggio prestabilito oppure da regole (gol subito, ecc.).
Gli spazi di gioco dipendono dai principi e dalle difficoltà che si vogliono proporre. Se il campo sarà più profondo verranno ricercate più trasmissioni centrali, se invece sarà corto si lavorerà più sui passaggi passanti e appoggiati. In base ai principi della costruzione sulle quali si vuole lavorare, gli spazi del campo di gioco varieranno. In fase di non possesso si verranno a creare tutte le tipologie di situazioni offensive: tiri ravvicinati, dalla corta distanza o 1vs1, attacchi alla linea e difesa dello spazio e della porta.
SECONDO ESEMPIO:
partita 2 vs 2 + 2 jolly
Anche il P in porta può concludere a rete. Comando da aggiungere e valutare: i Jolly possono fare gol oppure no. Il jolly opposto alla palla può entrare in campo su situazione di cross e provare a fare gol.
Lo spazio di gioco dipende dai principi che si vogliono sviluppare.
Le dimensioni del campo, se profondo, corto, largo o stretto, stimoleranno situazioni e scelte diverse.
Il focus in costruzione potrebbe essere anche la ricerca del lato forte, servendo il jolly che ha più spazio, valutando l’ubicazione dei due giocatori all’interno del campo.
TERZO ESEMPIO:
duello 1 vs 1
Il Portiere dovrà prima concludere a rete e poi difendere la propria porta (I Bianchi la porta bianca e I Neri la porta nera).
L’1 BIANCO tira a 1 NERO, poi recupera porta per ricevere il tiro da 2 NERO. Poi 2 Bianco tira a 2 NERO e recupera porta per la conclusione di 3 NERO e così via.
In questa situazione la distanza dalla quale parte il tiro può essere modulata per discriminare maggiormente le distanze e quindi gli adattamenti su tiri da diversa spazialità.
Tale esercitazione prevede una stretta correlazione tra il fare e il percepire, in quanto si è da soli contro un avversario e quindi il focus potrebbe orientarsi sulla consapevolezza dei propri punti di forza e le aree di miglioramento rispetto alla sfida e alle reazioni emotive date dalla competizione.
Nel lavoro collettivo con la squadra, il rapporto con l’Head Coach della leva risulta fondamentale, in quanto gli obiettivi su cui verrà focalizzato il lavoro dei compagni di movimento, dovrà essere elaborato anche nella parte specifica dei portieri, così da creare un continuum di principi durante tutta la seduta, inducendo l’apprendimento ad una fissazione.
In questo caso si cercherà nelle proposte organizzate dall’Head Coach, quindi con i compagni di squadra, di sostenere le azioni del portiere con feedback che inducano ad una consapevolezza e percezione, sia delle situazioni che dei vari adattamenti.
Si dovrà stimolare l’atleta alla comprensione delle interazioni e degli scopi, e quindi alla ricerca delle soluzioni più funzionali.
Per concludere, mi sento di riproporre la domanda posta qualche riga fa: nelle esercitazioni bisogna ripetere la soluzione o il problema? La soluzione noi crediamo sia sui libri oppure nel modello prestativo, ma non è così. Come notiamo tutti i week end, ogni portiere di Serie A, adatta interventi specifici e prettamente soggettivi. C’è chi in tuffo esegue un passo spinta o un passo dentro, c’è chi attua sempre l’attacco palla, chi la croce. In tutta questa complessità, l’unica “certezza” che abbiamo è la presenza di un avversario che detterà i tempi e gli spazi di ogni nostro adattamento.
Quindi è davvero così importante “educare” il nostro portiere alla pulizia di un gesto o a delle soluzioni predefinite, pur sapendo che i professionisti svolgono gli interventi in modo autentico e sempre diverso, perché appunto indotti da avversari eterogenei?
Da questa considerazione, bisognerà rivalutare il concetto di gesto tecnico, definendolo come “l’arte del saper fare”, quindi come la capacità che ognuno di noi ha di essere efficace in una situazione, di adattarci e comportarci in base agli stimoli dell’ambiente.
Risulta quindi fondamentale, tornando alla domanda di prima, allenare il problema, cioè ripetere e creare ambienti che consistano di interazioni complesse e contestualizzate, stimolando e inducendo il nostro portiere a ricercare un adattamento proprio ed efficace nelle varie situazioni, associandolo quindi alle dinamiche psicologiche ed emotive.
Einstein affermava: “non insegno mai nulla ai miei allievi. Cerco solo di metterli in condizione di poter imparare”.
Con questo, quindi, ribadisco come i veri insegnanti siano le relazioni che la persona stabilisce, di come l’atteggiamento e le azioni dei miei compagni e degli avversari, inseriti un contesto complesso e specifico, definiscano i miei adattamenti e di conseguenza la mia formazione.
Autore: Angelo D’Ignazio, preparatore dei portieri settore giovanile Genoa C. F. C