La Terza Stanza – Allenare la tecnica calcistica in un’ottica sistemica

Articolo di Simonetta Venturi, della rubrica Amici di Cambiodicampo

Un grazie infinito a Simonetta Venturi, per la pazienza e la disposizione al confronto e alla condivisione del suo sapere.

IL GESTO TECNICO PARTE DEL SISTEMA

Danziamo tutti su una melodia misteriosa, intonata a distanza da un musicista invisibile" AE

22 giugno 2021. La mirabile staffilata di esterno destro di Lukas Modric, sferrata dal limite dell’area avversaria nel recente confronto tra Croazia e Scozia in chiave Europei 2020, non lascia incertezze riguardo al valore assoluto, indiscutibile per un calciatore, del possedere un certo repertorio di gesti tecnici efficaci all’interno del proprio bagaglio motorio; gesti che, declinandosi con il contesto, esattamente in quell’istante irripetibile della partita, trascinano tutto il sistema verso l’ obiettivo: fare gol. In questo caso, gol superlativo a fil di palo. Le immagini che seguono rappresentano prova certa del fatto che tale gesto tecnico esiste, non c’è dubbio, nel tracciato neuromotorio di Modric, e che il fuoriclasse non tarda ad eseguirlo con rara maestria, laddove e qualora ne intravveda l’opportunità. Come dicevo, le immagini che seguono, superficialmente, potrebbero apparire sovrapponibili. Sappiamo oramai con chiarezza, grazie a neurobiologia, neuropsicologia, meccanismo specchio, che nessun gesto tecnico sarà mai uguale ad un suo analogo, pur se compiuto dallo stesso giocatore. Modric è infatti parte integrante del sistema ecologico in cui è immerso e sarà in grado di modificarlo al 62’ (e non solo) in base a ciò che farà.

Nel sistema partita, i livelli biomeccanico, cognitivo (connesso al Ciclo OODA), emotivo, comunicativo, si fondono in una sorta di entanglement radicato nella memoria del vissuto, nell’esperienza calcistica pregressa, nella genetica, nella professionalità, nei valori, nella percezione. In prospettiva contro-intuitiva, potremmo aggiungere al già detto, anche le sensazioni, le attrazioni, la motivazione intrinseca e l’intuizione del giocatore nell’attimo in cui passato presente e futuro sembrerebbero coesistere…Ad esempio….Modric l’ aveva già vista la palla nella rete?

Mandelbrot, tra frattali ed attrattori ci proietta nel caos, ma contemporaneamente ci indica dei sentieri da percorrere per trovare timide risposte.

Strumenti per gestire la casualità

"La stranezza sarà svestita e penso che scopriremo i significati più profondi." Jackson Pollock

Da svariati anni mi occupo nell’ambito della Neurodidattica, di TGfU, Game Sense e GBL; ho decisamente adottato tale approccio al fine di suscitare e sostenere con cura lo sviluppo dell’intelligenza tattica e strategica dei calciatori nelle società sportive con cui ho collaborato: indispensabili sin dal momento in cui il bambino mette piede nella scuola calcio fino all’accesso, a Dio piacendo, da adulto, nel complicato mondo del professionismo. Ho ascoltato quindi con molta empatia i reciproci apprezzamenti televisivi tra un De Zerbi formato ritiro austriaco ed i giocatori che, dalla sua fucina, sono passati in Nazionale: da entrambe le prospettive si rappresentava il processo allenante come un’entità in continua evoluzione, il cui nucleo strutturale risultava essere proprio il rapporto proattivo giocatore-allenatore.

“Poiché il talento ha bisogno di esprimersi e non è lineare, bisogna creare un contesto in cui possa brillare. E comunque ogni giocatore ha la possibilità e deve incrementare il suo potenziale, altrimenti è finito»
(De Zerbi, 2020)

Da queste premesse e da quanto precedentemente detto, appare urgente acquisire una criteriologia condivisa, ideare meccanismi didattici che facciano progredire insieme gesti tecnici e consapevolezza collettiva, per opporsi con maggiore o minore successo alla casualità (Accame, 1985). Focalizzando, in questo caso, l’attenzione sugli aspetti tecnici, domandiamoci quando e come innescare la catena di operazioni più efficaci per dotare il giocatore di strumenti imprescindibili per le fasi di orientamento e atto (proprie del ciclo OODA). L’analisi grammaticale, accanto a quella logica risultano essenziali per mettere in condizione il bambino di esprimersi ed essere compreso: una brava maestra, con intelligenza e rispetto, non lascerà tali questioni alla sola intuizione dell’alunno, ma farà il possibile per fornirlo di riferimenti e strumenti…solo così lui sarà in grado, in totale autonomia, di scrivere un pensiero, un semplice avviso o anche una poesia che suscita emozioni (esattamente come il gol di Modric).

DAL “FARE” AL”CHE FARE” : LA TERZA STANZA

"Ritengo la tecnica l'aspetto più importante; se non c'è quella, la tattica non puoi farla. Alleno molto i gesti tecnici creando situazioni, attraverso partitine, ma anche in stazioni tipo catene di montaggio dove di volta in volta cambiano angoli, distanze, velocità. A inizio allenamento propongo sempre delle sequenze tecniche. I giocatori talvolta le fanno a 0 all'ora, pensano di saperle già fare, allora gli sto sotto. Bisogna capire che la velocità nella trasmissione della palla è tutto. Più sali di livello più la palla viaggia veloce". (De Zerbi 2018)

L’architetto finnico Alvar Aalto intorno al 1930 ideò, per la prima volta nell’era moderna, un complesso residenziale per i lavoratori della fabbrica di Sunila, basato su piccoli moduli “A”Varkaus (da cui le attuali tiny houses e case a schiera). Tali moduli erano composti da due stanze- base interne e da una terza stanza esterna, una sorta di veranda, che potesse prolungare la vita della famiglia nell’ambiente naturale. Questi moduli venivano costruiti dagli stessi lavoratori secondo proprie necessità e sensibilità, utilizzando legname, a partire da svariati progetti pensati ad hoc dall’architetto stesso. Aalto incastrò in un pensiero sociale sistemico i bisogni locali, le strutture produttive, le tecniche costruttive. Una nuova vision architettonica, evocata anche dalla sosta fiorentina (convento di San Marco) del suo viaggio di nozze italiano, in cui ebbe modo di ammirare l’Annunciazione, affresco che il Beato Angelico fa accadere in uno spazio esterno/ interno definito di un tempo indefinito: una terza stanza.

Fuor di metafora, la suggestione può trasformarsi in indicazione metodologicamente utile: individuare, a margine del tempo e dello spazio della seduta di allenamento, una terza stanza, in cui allenatore, maestro di tecnica e giocatore/i, dopo aver individuato i gesti da migliorare nella relazione che davvero educa, e che tiene conto dei pensieri, delle emozioni, delle personalità, delle esperienze pregresse, si coinvolgono reciprocamente in una sorta di terapia intensiva rigenerante.

Una terza stanza quindi, ambiente flessibile, in cui far fronte ad una fragilità tecnica da percepire e recuperare, che non sarà mai affare esclusivo del giocatore, in quanto capace di condizionare tutto il sistema in qualsiasi momento della partita. Gli Open Skill, gli SSG &LSG, i Giochi di Invasione in particolare, utilizzati comunemente come metodologia learning by doing o Game Based Learning (GBL) per lo sviluppo di expertise strategiche e tattiche, sono anche implacabili cartine al tornasole nell’evidenziare quelle fragilità tecniche che un osservatore esperto sa rilevare e non trascura. Carenze di cui il giocatore si renderà conto solo giocando, e che innescheranno in lui la consapevolezza e la determinazione di voler risolverle e sanarle. Una decisa motivazione intrinseca. L’unica davvero utile.

Il gioco è in grado di esercitare e sviluppare il potenziale tecnico del giocatore sotto alta/ bassa pressione, nelle infinite fasi variabili, attraverso il curricolo nascosto in assenza di istruzioni direttive, stimolando la sua attenzione al frammento, in un apprendimento cooperativo ecologico pieno di senso. Contemporaneamente, sperimentando nel gioco le proprie imperfezioni, gli errori tecnici saranno generativi e sollecitati e attiveranno processi guidati di scoperta, migliorativi per il proprio futuro. Il giocatore, sostenuto dal maestro di tecnica/allenatore, acquisirà o perfezionerà finalmente, nella terza stanza, le praxie ed i gesti tecnici efficienti ed efficaci a partire dalle sue percezioni e dalla sua sensibilità, ripercorrendo e assemblando a ritroso un proprio vissuto di motor patterns, motor skills, biomotor abilities. Un processo che poco ha a che fare con quello analitico ripetitivo e unidirezionale, avulso dal contesto partita, che quasi sempre si è visto sugli italici manti erbosi.

La terza stanza può essere concepita come un continuum del processo di allenamento. Lo stesso allenatore, in grado di gestire l’assoluta variabilità delle fasi e situazioni di gioco, potrà decidere se richiamare l’attenzione del giocatore dedicandogli una serie di feed-forward rapidi oppure uno decisamente più lungo, permettendo l’uscita momentanea del giocatore dalla complessità del sistema-allenamento ed il suo rientro nella complessità dopo la repentina full- immersion tecnica. L’allenatore potrà prevedere anche un feed-back a margine dell’allenamento in cui avrà tempo di rivolgere domande in chiave tecnica al giocatore, (metodologia TGfU), di inquadrare la problematica e attivare adeguate situazioni di recupero. Focalizzando così l’elemento limitante, verrà innescata una catena di rinforzo che permetterà al giocatore di esprimere completamente e in libertà la propria intelligenza di gioco, le proprie potenzialità, in una sintesi gestuale divertente, gustevole (un neologismo) proprio per il grande impegno richiesto e profuso.

IL CICLO OODA

“La testa pensa dove stanno i piedi” P.F.

Dopo tanti anni ripropongo, questa volta a sostegno dell’acquisizione del gesto tecnico, la schematizzazione del ciclo O.O.D.A. ipotizzato dal generale John Boyd esperto in Strategia Militare USA. Il generale, tentando di sintetizzare le complesse fasi del processo decisionale, le decostruì in O.sservazione, O.rientamento, D.ecisione, A.tto, ben sapendo che ovviamente nessun processo, proprio per la sua natura, può essere suddiviso in parti distinte.

Fuor di metafora, la suggestione può trasformarsi in indicazione metodologicamente utile: individuare, a margine del tempo e dello spazio della seduta di allenamento, una terza stanza, in cui allenatore, maestro di tecnica e giocatore/i, dopo aver individuato i gesti da migliorare nella relazione che davvero educa, e che tiene conto dei pensieri, delle emozioni, delle personalità, delle esperienze pregresse, si coinvolgono reciprocamente in una sorta di terapia intensiva rigenerante.

Nella brillante intuizione del generale che risale agli anni 70, di cui ho avuto modo di ragionare abbondantemente altrove, si riserva sempre, e giustamente, molta enfasi alle fasi di osservazione, alla decisione e infine all’atto che il giocatore compie. In questo caso, in relazione al gesto tecnico, vorrei invece focalizzare l’attenzione sulla seconda delle fasi, quella dell’orientamento. Il saper eseguire con destrezza e fluidità gesti tecnici efficenti e ed efficaci, ottimizzati in adeguate fasi di gioco, risulta determinante per ogni giocatore: un’ovvietà facilmente condivisibile. Il generale Boyd ci induce però a comprendere di più: possedere un repertorio ampio di gesti tecnici collezionato sin dai primi anni della scuola calcio e perfezionato attraverso l’esperienza vissuta negli spazi e nei tempi delle centinaia di fasi di gioco sperimentate negli anni, è come possedere un tesoretto temporale. Nel momento opportuno della fase di gioco, grazie all’esperienza pregressa, non tutta la compilation di gesti tecnici posseduti verrà presa in considerazione. Grazie alle informazioni percepite e raccolte nel nuovo imprevedibile scenario, il giocatore non prenderà affatto in considerazione e i gesti non utili alla situazione-problema da affrontare e risolvere, già scartati automaticamente (grazie a complessi meccanismi neuronali). Questo filtro farà guadagnare al giocatore istanti preziosi rispetto al suo diretto avversario. E’ proprio la fase di orientamento, strettamente connessa con le altre, il vero fattore predittivo di adeguate decisioni.

ESISTE POI UN GESTO TECNICO PERFETTO?

“Ne sortiremo insieme o non ne sortiremo affatto” Don Milani

La pandemia ha rappresentato per tutti noi un’esperienza traumatica da archiviare in uno spazio in cui, però, evocando Deleuze, Lacan, Husserl ed altri unici pensatori, sapremo ritrovare anche le “occasioni di veggenza” che ci hanno aiutato ad uscirne fuori. Dalle sue estroflessioni, il web ha visto gradualmente spuntare delle necessità incontenibili di incontro e di approfondimento decisamente non scontate. Grande forza per tutti. Paradossalmente le idee si sono rivelate più democratiche e più forti, incontenibili. Hanno iniziato a circolare, grazie ad una umanità fatta di gente generosa, spesso giovane, che invece di arrendersi e deprimersi, non sapendo forse inizialmente neanche dove mettere i piedi, ha dato vita, dalla base, ad un movimento intraprendente capace di dare senso al vuoto e di trasportare tutti verso un immaginario collettivo, decolonizzato, ricolmo di qualità. A queste persone va la mia incondizionata gratitudine e ammirazione.

Proprio durante la visione di un HL webinar organizzato da e magistralmente tenuto dal Professor Gualtieri, mi ha colpito un approfondimento del CT della Nazionale femminile Mazzanti, secondo il quale esisterebbero più di 500 modi di eseguire lo stesso colpo di attacco, e questo solo nell’alta prestazione. Quale di questi 500 modi diversi di interpretare lo stesso gesto potrebbe essere scelto come model per insegnare l’ esatta tecnica di un gesto? Nessuno. Risposta ovvia. Trasponendo il ragionamento in ambito calcistico, gioco di invasione e non net game, la situazione si complice ulteriormente. L’esperienza ci dice che, come già visto nel caso di Modric e del suo tocco di esterno, in partita nessun gesto sarà mai uguale ad un altro: la variabile è l’invariante del gioco. Quindi le proposte di esercitazioni osservate in passato in corsi di aggiornamento organizzati da club anche altamente blasonati, costruite sulla scomposizione del gesto tecnico meccanico articolare a secco o sulla gestione ripetitiva e continuativa del pallone in volo per 15’ consecutivi fuori contesto, ad esempio, fanno ormai parte di una preistoria metodologica addestrativa di intelligenze parcellizzate che difficilmente saranno in grado di risolvere problemi complessi nel gioco. Il Prof. Gualtieri è stato convincente:

”Sarà la stessa situazione di gioco ad indicare all’intelligenza del giocatore (intesa anche come sensibilità) il gesto più adeguato, ricordando che non esiste un solo modo, ma tanti modi di fare una cosa: saper lavorare nella complessità risulta essere quindi un'abilità specifica."
(Domenico Gualtieri)

Allontanare la paura

“Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo.“ Paulo Freire

Il post-covid non sarà facile per i nostri giocatori, non tanto in chiave futura quanto nel recupero equilibrato di quanto è andato perso in termini di abitudini modificate, incontri non fatti, opportunità mancate, motivazione povera, rimpianti. Questo attacco pandemico è riuscito ad hackerare spazi e tempi ai quali la neuroeducazione sarà costretta a ridare contorni e cornici di senso. Ma gli adulti siamo noi. Ci tocca. Dobbiamo tener botta.

Con capacità predittive, determinazione , studio “matto e disperatissimo”. Sono certa che il Game Based Learning (GBL) costituirà un’ottima opportunità per “sortirne insieme”. Poi sarà lo sguardo educante dell’allenatore a ricercare il dialogo autentico, non certo il consenso acritico e il rapporto asimmetrico con il giocatore che esegue a puntino la sua idea di gioco, progettata a tavolino nella calda estate.

Saper stare nel contesto e saper gestire la complessità insieme alla squadra sarà questione di difficile risoluzione. Più facile certamente risulterebbe avere a che fare con situazioni prescrittive. Ma questo è quanto dobbiamo alla generazione di sopravvissuti che si appresta alla stagione agonistica 2021-22: imparare a scombinare tempi e spazi, stimolare il transfer, conoscere tutte le invarianti, le K del gioco e prevedere le possibili infinite varianti per arricchire il tesoretto del giocatore ed accendere una luce sul suo futuro. E ancora, combattere con raffinata competenza l’analfabetismo tecnico dilagante sapendo individuare l’errore con il rigore di un match analyst e l’empatia di una maestra indulgente . Diventare bravi nell’innescare meccanismi di correzione e di autocorrezione. Creare addirittura contesti che sappiano sfruttare l’errore, magica arma per allontanare dal giocatore la paura del non saper fare e per suscitare in lui il gusto del riuscire a risolvere proprio quella situazione di gioco. Perché è l’errore l’unico vero insegnante che ci scorpora dall’arroganza del pensiero unico. Ci allontana dal pensare che solo noiconosciamo il gesto tecnico più opportuno da utilizzare. Ed invece il gesto migliore lo può conoscere solo il giocatore nell’attimo esatto del suo accadere. Gesto che diverrà suo patrimonio personale in virtù dell’embodied cognition. Ma questa è già altra storia da romanzo.

Autore: Simonetta Venturi
Edito da: Cambiodicampo

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